Al termine dell’anno accademico 2008/2009, il sottoscritto (allora all’ultimo anno di Canto Barocco presso il conservatorio di musica G.Rossini di Pesaro), decise di intraprendere uno studio sulla prassi musicale del Ducato di Urbino nel XVI secolo.
A seguito della tesi di Laurea che ne scaturì (“L’Ilarocosmo: l’ultima ghianda musicale della quercia Roveresca”) fui indotto, negli anni successivi, a proseguire lungo una linea di indagine suscettibile di molteplici diramazioni; da una di queste iniziò una ricerca sulle tracce e testimonianze di Intermedi, Moresche e Rappresentazioni musicali alla corte dei Duchi di Urbino (i Montefeltro prima e i Della Rovere in seguito), nonché sulla particolare pratica (assai diffusa in tali ambienti) del Teatro Polifonico, “con la quale le commedie del Cinque/Seicento, o più in generale le opere teatrali, erano integrate (all’inizio semplicemente come intermezzi tra un atto e un altro e successivamente fuse dentro le commedie stesse) con l’utilizzo di musiche originali che il più delle volte erano appositamente composte per esse. Questa sorta di “commedie madrigalistiche” erano caratterizzate dalla compresenza di vari elementi formali e stilistici, organizzate tal volta con struttura scenica, che inglobavano tutte quelle espressioni (dialogicità, onomatopea, realismo linguistico e narrativo,…) che precedentemente emergevano dall’interno di normali raccolte polifoniche”¹.
Urbino, centro nevralgico della cultura e delle arti nel XV e XVI secolo (dove concorrevano d’ogni sorta d’uomini piacevoli e li più eccellenti in ogni facoltà che in Italia si trovassimo”)², dovette essere un crocevia di nuove esperienze e tendenze musicali: lo stesso Eistein³ abbozza l’idea che in Urbino si fosse costituito un circolo con obbiettivi non dissimili da quelli della cosiddetta Camerata Fiorentina e che questo lavoro testimoniasse dell’esistenza nella città ducale di dibattiti e sperimentazioni analoghe a quelle emblematizzate nelle opere di Caccini. Ad avvalorare questa tesi, è utile citare due illustri urbinati di diversa provenienza artistica: Simone Balsamino e Biagio Micalori.
Il primo, musicista e poeta, compose quelle che furono le prime musiche sull’Aminta di Torquato Tasso, ovvero le Novellette a sei voci, in occasione della messa in scena pesarese del poema (1574) voluta da Lucrezia d’Este. Preso atto dell’originalità della denominazione (che non è sfuggita ad Eistein, secondo il quale l’espressione “Novellette” rammenterebbe quella ben più celebre di “Nuove Musiche”), alcuni passi dell’introduzione che Balsamino fa nella dedica sembrano illuminanti. Oltre al diretto riferimento ad un particolare cenacolo artistico, si fa menzione di un luogo per l’arte ben preciso, la Piazza (quella antistante il Palazzo Ducale) definita Teatro che, unita all’espressione attione, non può non rimandare ad un contesto “rappresentativo” di imprecisabile natura che poco poteva valorizzarsi con sole musiche vocali: -“Eccovi Urbinati miei Signori et patriotti le mie NOVELLETTE tanto da voi adimandate, massimamente in quella Piazza, Teatro ove si commodamente e di giorno, e di sera vi si trattiene ogni sorte de ingegno, di qualunque Virtù, et ivi si assottiglia per più propriamente in presentia de l’Auttore giudicare, e commendare senza alcuna adulazione, ciascheduna attione” - .
Per quanto riguarda invece il commediografo Biagio Micalori, è da annotare il curioso prologo della sua Fuga Amorosa (1621), scritta in occasione delle nozze tra l’ultimo Duca di Urbino Federico Ubaldo Della Rovere e Claudia De Medici, che inscena un serrato battibecco tra due personaggi, Recitante e Morescante; quest’ultimo, dopo lunghe disquisizioni, si dilunga a descrivere le caratteristiche peculiari degli intermedi musicali, e anzi, lui che è di Urbino, rivendica alla sua patria l’invenzione stessa degli intermedi e si rallegra che ne sia rinverdita l’usanza (il che presuppone un precedente utilizzo degli stessi) per il favore dell’attuale Principe: -“[…] le Commedie d’oggidì sì per la loro lunghezza, come per l’empiture e stiracchiamenti, che in esse sono, riescono per lo più tediose, è forza d’indolcire la bocca a gli spettatori con qualche vago et ingegnoso Intermedio, rappresentandosi, quasi con mutolo parlare, ballando e morescando, istorie, favole et altre cose nelle quali anche si scorge calar nuvole, apparir mari, aprirsi inferni, sorgere Città, comparire animali, con estrema meraviglia dè riguardanti, come vedrete fra poco, se vi degnerete di ritirarvi. Invenzione, che ha avuto origine in questa felice Patria d’Urbino”- .
¹ Paola Mecarelli, Annotazioni sulla scrittura drammatica nella polifonia vocale profana in Italia dal Cinquecento al Siecento (Musica/Realtà, XXXIII, dicembre 1990, pp. 147-165)
² Baldassarr Castiglione, Il libro del Cortegiano, 1528
³ Alfred Eistein, EinMadrigaldialog von 1594 (Zeitschrift der InternationalenMusikgesellschaft, XV, 1913-14, pp.202 sgg)
N.B: per maggiori info, scarica l'allegato contenente la Tesi di Laurea "L'Ilarocosmo, l'ultima ghianda musicale della quercia roveresca".